Nella valle d’abisso dolorosa
L’Inferno al Sass da Preja Buia
di Paolo Zoboli
A Sesto Calende, per ascoltare l’Inferno, quale luogo più suggestivo del Sass da Preja Buia? Il bosco tutto intorno evoca la «selva oscura» in cui inizia il viaggio di Dante, e la parete di roccia dell’enorme e misterioso masso erratico, che si alza maestosa al sommo di un piccolo pendìo, ben può evocare le pareti di roccia della «valle d’abisso», della «gran tomba» infernale (complice anche, dopo le 21, lo scendere della notte: «Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno…»). E diamo a Cesare quel che è di Cesare: l’idea di questa ambientazione è di Silvia Fantino, che ha creduto in questo progetto di letture dantesche e ha voluto realizzarlo pur tra non poche difficoltà, avvalendosi dell’organizzazione di Loredana (Dada) D’Agaro. Fra l’altro, a quanto ci risulta, la Preja Buia non è mai stata utilizzata, in precedenza, come scenario di una qualsivoglia rappresentazione.
L’Inferno – a differenza delle due cantiche successive, come diremo discorrendo delle prossime serate – non ha certo bisogno di presentazioni. Soprattutto canti come il III, il V, il X e il XXVI sono sempre stati e sono ancora (rubo la battuta ad Arnoldo Foà) ‘canzoni di successo’: le terribili parole sulla porta dell’Inferno («Per me si va nella città dolente…») e «Caron dimonio» con i suoi «occhi di bragia»; il tragico amore di Paolo e Francesca, travolti dalla bufera infernale; tra le arche infuocate, la bruciante passione politica e l’indomita fierezza del «magnanimo» Farinata degli Uberti; tra i dannati dell’ottava bolgia, avvolti da fiamme, il racconto dell’insaziabile sete di conoscenza e del «folle volo» di Ulisse nel suo ultimo viaggio oltre le colonne d’Ercole… Proprio questi episodi risuoneranno nella affascinante cornice del bosco della Preja Buia, introdotti dai celeberrimi versi iniziali del poema («Nel mezzo del cammin di nostra vita…») e seguiti dall’orribile visione di Satana («Lo ’mperador del doloroso regno…»), fino all’ultimo verso della cantica, che sembra un profondo sospiro di sollievo: «E quindi uscimmo a riveder le stelle».
Per l’Inferno Marco Giani ha pensato a un organico di ottoni e di percussioni che, all’aperto, possano alternare con il necessario vigore toni tenebrosi e bagliori corruschi: l’Ensemble Ottoni Antichi (alle trombe naturali di Riccardo Cerutti, Emanuele Goggio, Tiziano Tettone e Matteo Macchia si affiancherà, ai timpani, Nico Aymet) eseguirà musiche di Dauvernet, Bach, Bendinelli, Zelenka, Haendel e Diabelli, ora intervallando e ora accompagnando la voce recitante di chi qui scrive.